Nel 1985 arrivava nelle sale Ladyhawke, una fiaba fantasy anomala, malinconica, indimenticabile. Oggi, a quarant’anni di distanza, è il momento perfetto per riscoprirla. Perché se c’è un film che ha saputo sfidare il tempo — proprio come i suoi protagonisti — è proprio questo.
Diretto da Richard Donner, regista che negli anni ’80 aveva già lasciato il segno con Superman e I Goonies, Ladyhawke è una storia d’amore maledetta che ha il ritmo di una leggenda medievale, ma l’anima pop di un’epoca che non aveva paura di osare. Un cavaliere (Rutger Hauer), una donna-falco (Michelle Pfeiffer) e un ladruncolo chiacchierone (Matthew Broderick) ci accompagnano in un’avventura sospesa tra romanticismo tragico e ironia leggera, dove l’azione è al servizio del sentimento, e la magia ha il sapore della condanna.
Ma quello che ha davvero reso Ladyhawke un cult — e che oggi, nel 2025, possiamo finalmente leggere con chiarezza — è il suo essere fuori dal tempo anche a livello stilistico. A cominciare dalla colonna sonora: un mix di sintetizzatori, chitarre elettriche e batterie elettroniche firmato da Andrew Powell e prodotto da Alan Parsons. Un azzardo, all’epoca. Oggi? Una firma inconfondibile, capace di evocare in pochi secondi un’epoca, un’estetica, un modo diverso di raccontare il fantasy.
Se Conan il Barbaro era spinto dalla forza, Ladyhawke era guidato dal cuore. Non cercava il realismo, ma l’incanto. Non puntava sugli effetti, ma sull’atmosfera. E mentre gli altri film fantasy degli anni ’80 si perdevano tra mostri, magie ed eroi, Ladyhawke ci parlava di due amanti che non potevano mai toccarsi, vittime di una maledizione crudele: lui uomo di giorno e lupo di notte, lei donna di notte e falco di giorno.
Quaranta anni dopo, quella maledizione ci affascina ancora.
Forse perché ci parla di distanze che non riusciamo a colmare, di mondi che non si incontrano, ma anche di speranza, di ostinazione, di quella scintilla che non si spegne. E allora sì, Ladyhawke è un film strano, imperfetto, fuori moda persino per i suoi tempi. Ma è anche un film profondamente sincero, che oggi possiamo guardare con occhi nuovi — o forse con lo stesso stupore di quando lo scoprimmo per caso su una VHS noleggiata sotto casa.
E visto che nel 2025 compie 40 anni, questo è il momento giusto per celebrarlo: rivederlo, riascoltarlo, parlarne. Perché i cult veri non invecchiano. Al massimo, si trasformano. Come un lupo. Come un falco.
Curiosità dal set
Ladyhawke e il fantasy pixelato degli anni ’80
Anche se Ladyhawke non ha mai avuto un videogioco ufficiale (un’occasione persa, verrebbe da dire), il suo immaginario ha influenzato sotterraneamente parte della cultura fantasy che esplodeva proprio in quegli anni tra cinema, giochi da tavolo e computer a 8 bit.
La figura dell’eroe solitario, dell’amore perduto, delle maledizioni da spezzare, è alla base di tantissimi giochi dell’epoca, soprattutto quelli pubblicati in Europa su Commodore 64, ZX Spectrum e Amstrad CPC. Basti pensare a titoli come The Lords of Midnight, Knight Lore, o Shadowfire, che combinavano atmosfere medievali, oscurità romantica e tecnologie allora avveniristiche per raccontare storie sempre più immersive.
Anche l’estetica del film — fatta di castelli in rovina, paesaggi naturali desolati, animali simbolici e oscuri vescovi malvagi — è vicina allo stile visivo di molte illustrazioni da manuali fantasy o copertine di giochi da tavolo come Talisman e HeroQuest, lanciati proprio nella seconda metà degli anni ’80.
E poi c’è quel mix apparentemente impossibile tra medioevo e sintetizzatori, tra cavalli e tastiere elettroniche. Una combinazione che oggi ci fa sorridere, ma che ricorda moltissimo certe intro musicali dei giochi su floppy disk o le tracce MIDI dei primi JRPG su PC-88 e MSX. La stessa colonna sonora di Ladyhawke, così criticata all’epoca, sembra oggi un concept album synthwave ispirato a Castlevania o Dragon Slayer.
In fondo, Ladyhawke era un fantasy romantico per chi si sentiva fuori tempo, come molti giocatori e appassionati dell’epoca. Per questo, anche senza joystick né sprite, il film ha lasciato un’impronta profonda nel cuore di chi ha vissuto gli anni ’80 davanti a uno schermo — che fosse quello di un cinema o quello fosforescente di un monitor a fosfori verdi.