Come Hiroshima ha ispirato la narrativa post-apocalittica nei giochi giapponesi

A 80 anni dalla tragedia, come il trauma di Hiroshima ha forgiato l’estetica e i temi del videogioco nipponico

Il 6 agosto 1945, alle 8:15 del mattino, il cielo sopra Hiroshima cambiò per sempre. La prima bomba atomica sganciata su una città popolata trasformò istantaneamente l’umanità, lasciando dietro di sé un cratere nella storia e nell’anima del Giappone.

Ottant’anni dopo, quella ferita è ancora viva, anche nei luoghi più inaspettati: nei manga, negli anime, nel cinema e nei videogiochi.

Per il Giappone postbellico, la distruzione atomica non è solo un episodio storico, ma un trauma fondativo, assimilato lentamente attraverso la cultura pop. Se il cinema rispose con il mostro radioattivo per eccellenza (Godzilla, 1954), i videogiochi, nati decenni dopo, ereditarono quella stessa angoscia, traslandola in mondi distrutti, città-fantasma e guerre futuristiche.

Non è un caso che la narrazione post-apocalittica sia così diffusa nei giochi giapponesi: la distruzione del mondo non è solo uno scenario di gameplay, ma un’esperienza intima, una riflessione sulla fragilità umana.

Alcuni esempi in cui il trauma atomico si trasforma in videogioco:

Shin Megami Tensei (1992, Atlus)

Tokyo viene annientata da un’esplosione nucleare e il giocatore si ritrova a esplorare una città popolata da demoni. La guerra tra forze angeliche e demoniache è lo specchio di un’umanità divisa tra distruzione e redenzione. La bomba è il “punto zero” della storia.

Mother (1989, Shigesato Itoi)

Il creatore del gioco si ispirò a un trauma infantile: da piccolo entrò per sbaglio in un cinema dove si proiettava un documentario su Hiroshima. Questo shock si riflette nella narrativa inquietante del gioco, in cui l’infanzia è minacciata da un male alieno e incomprensibile.

Metal Gear (serie, 1987–oggi, Hideo Kojima)

La saga di Kojima è una denuncia aperta contro la guerra nucleare. Metal Gear Solid (1998) mette il giocatore nei panni di un soldato chiamato a disinnescare un’arma nucleare camuffata da robot. I dialoghi sono carichi di riferimenti alla Guerra Fredda, alla deterrenza e ai traumi generazionali.

Front Mission (1995, Squaresoft)

Serie di strategici militari ambientati in un futuro dove guerre mondiali hanno sconvolto la geografia politica. Anche qui la distruzione tecnologica e il senso di impotenza ricordano lo spettro atomico.

NieR / NieR:Automata (2010, 2017)

Un mondo post-umano, dove l’umanità è scomparsa dopo una lunga guerra. Le rovine, le musiche malinconiche, la memoria dei luoghi perduti: tutto richiama la riflessione esistenziale sulla fine e su ciò che resta. La guerra non è eroica, ma tragica e ciclica.

Hiroshima oggi è una città viva, ricostruita, ma carica di silenzio. Nei videogiochi, le città distrutte sono quasi una firma del game design giapponese. Non solo come set scenografico, ma come simbolo della perdita e della speranza.

  • Final Fantasy VI mostra un mondo che viene letteralmente spezzato in due da una catastrofe magica.

  • Chrono Trigger ci fa viaggiare in un futuro devastato, in cui i personaggi vedono con i propri occhi cosa accadrà se non cambiano il corso degli eventi.

  • Persona 3-5 gioca spesso sul contrasto tra vita scolastica e catastrofe imminente, con riferimenti al trauma e al peso della storia.

Il Giappone ha sviluppato una propria estetica del disastro: silenziosa, riflessiva, spesso poetica.

Questa poetica nasce direttamente dall’ombra della bomba, dall’idea che la distruzione totale sia un punto di partenza, non di arrivo.

A ottant’anni da Hiroshima, i videogiochi giapponesi continuano a parlare, spesso in silenzio, di quel mattino del 1945. Non con retorica, ma con la dolcezza della metafora, la melanconia del ricordo, e la determinazione a non dimenticare mai.

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